08.13

RISCHIO DELLA STABILE ORGANIZZAZIONE ESTERA

Nelle realtà aziendali con un certo grado di internazionalizzazione è frequente l’utilizzo di agenti operanti negli Stati esteri che svolgono le funzioni di vendita per conto della casa madre.

Strutturare correttamente i rapporti tra casa madre e agente estero è di fondamentale importanza, al fine di evitare che quest’ultimo possa essere ritenuto, a seguito di accertamento, stabile organizzazione all’estero della casa madre.

La stabile organizzazione rappresenta il criterio di collegamento o soglia minima che consente di ripartire la potestà impositiva tra stato della fonte e quello della residenza. La nozione di stabile organizzazione ha una valenza esclusivamente fiscale e assume rilevanza con riferimento alla tassazione dei redditi prodotti nel territorio dello Stato estero da un soggetto non ivi residente per il tramite della sua stabile organizzazione.

Dal punto di vista fiscale, è un autonomo centro di imputazione di ricavi e costi, e viene assoggetta a tassazione nello Stato estero per i redditi ivi prodotti.

Il principio di fondo è quello per cui rappresenta stabile organizzazione quel soggetto che opera per conto della casa madre italiana e ha il potere di concludere contratti in nome dell’impresa rappresentata (c.d. “agente dipendente”). 

La stabile organizzazione digrada nella tipologia materiale e in quella personale, a cui si affianca la digitale, di recente introduzione.

La materiale viene, generalmente, intesa come preordinata a quella personale, va prima investigata la sua eventuale esistenza che, ove integrata, assorbirebbe l’eventuale presenza di un agente dipendente.

I presupposti necessari per la qualificazione di una stabile organizzazione del tipo materiale, rappresentativi dei passaggi logici da effettuare per indagarne la presenza sono:

  1. l’esistenza di una sede fissa d’affari all’estero a disposizione dell’impresa italiana ciò che rileva, in relazione all’elemento della “sede d’affari” sarebbe il semplice fatto che la società estera abbia a disposizione un certo spazio fisico, a prescindere dal titolo giuridico sulla base del quale ne dispone.
  2. la fissità e permanenza intesa sia in senso spaziale che temporale;
  3. il fatto che l’impresa italiana svolga, in tutto o in parte, la propria attività per mezzo di tale sede d’affari.

Riguardo a quella personale vale il principio per cui un soggetto estero configurerebbe una stabile organizzazione personale della società italiana, qualora una persona (fisica o giuridica) agisca abitualmente per essa, ai fini della conclusione di contratti, anche in assenza di una sede fissa, intesa secondo le regole della stabile organizzazione materiale.

Il requisito della “sede d’affari fissa” verrebbe sostituito, dunque, dalla “abituale” conclusione di contratti.

Varrebbero, inoltre, tutte le ipotesi in cui si vincoli di fatto il preponente alle clausole negoziali predisposte nel corso della trattativa dall’agente, a prescindere da chi formalmente sottoscriva il contratto e dunque in assenza di un contratto concluso letteralmente spendendo il nome dell’impresa estera.

Se, ad una prima analisi, il principio va interpretato nel senso per cui l’accertamento della sussistenza della stabile organizzazione è legato all’attribuzione all’agente del potere di rappresentanza, in realtà la prassi OCSE ha da tempo elaborato una linea interpretativa secondo la quale ciò che conta non è tanto il fatto che l’agente concluda materialmente il contratto, bensì il fatto che egli conduca le trattative, scelga nell’ambito dell’autonomia concessagli le clausole che più ritiene opportune, per poi “girare” alla casa madre estera i contratti per la relativa sottoscrizione

L’unico modo di evitare i rischi di stabile organizzazione all’estero sarebbe quella di avvalersi di “agenti indipendenti” (ad esempio agenti plurimandatari), ovvero intermediari (persone fisiche o – più spesso – persone giuridiche) che operano in piena indipendenza dalla casa madre, in special modo sotto il profilo economico sopportando il rischio dell’attività.

In ambito internazionale, ai sensi dell’articolo 5, par. 5, del Modello di convenzione OCSE, quando una persona (che non è un agente indipendente) agisce per conto di un’impresa ed esercita abitualmente in un determinato Stato il potere di concludere contratti in nome della stessa, si può considerare che tale impresa abbia una “stabile organizzazione” in detto Stato.

Pertanto, l’agente dipendente, a differenza di quello indipendente, ha il potere di negoziare, definire e concludere – nello Stato estero – contratti in nome e per conto dell’impresa.

Inoltre, lo stesso agente deve operare con carattere di abitualità, esercitando i poteri conferiti da parte del soggetto estero e deve avere una certa stabilità nella permanenza all’estero.

Elementi utili per la valutazione dell’indipendenza sono:

  • la mancanza di controlli da parte della casa madre sull’agente e di istruzioni in merito alle modalità di esecuzione della prestazione;
  • la rilevanza specifica delle qualità professionali dell’agente quali motivi che hanno determinato la scelta del mandante di avvalersi delle sue prestazioni;
  • il numero di committenti rappresentati dall’agente.

Sulla base di quanto sopra rappresentante, risulta evidente che anche la contrattualizzazione e definizione dei rapporti con gli agenti esteri deve essere attentamente vagliata al fine di escludere o limitare i rischi di una doppia imposizione internazionale.